La pandemia da Covid-19 ha sconvolto la vita a miliardi di persone sparse in tutto il mondo.

E il Lockdown dovuto alla pandemia da Covid-19 rischia di camuffare il fenomeno: essendo i giovani costretti a rimanere in casa a causa delle restrizioni, quelli che ci sarebbero rimasti comunque per scelta (gli Hikikomori) passano quasi inosservati. Gli stessi genitori di questi giovani sembrano preoccuparsi di meno, perché anche altri ragazzi sono “chiusi” in casa.  

Il ritiro sociale è stato sdoganato e questa sindrome sembra sempre più accettata e normalizzata dalla società. Sarà questo il futuro che ci attende?

 

“Hikikomori, quando un ragazzo si chiude in camera e si crea un mondo tutto suo”

 

Alla fine degli anni 70’ in Giappone alcuni studiosi individuarono un particolare fenomeno sociale e lo chiamarono “Sindrome di Hikikomori” che significa letteralmente “stare in disparte, isolarsi”. Si tratta di una condizione di isolamento sociale estrema ed auto-imposta, tipicamente diffusa negli adolescenti e nei giovani adulti, perlopiù di sesso maschile.

È bene precisare che la sindrome di Hikikomori non è un vero e proprio disturbo di per sé ma è piuttosto un sottotipo del disturbo evitante di personalità. In altri termini esiste un gruppo molto numeroso di persone che oltre ad avere questo disturbo presentano dei tratti socio-culturali molto simili fra loro; sono quasi tutti giovani maschi, con una buona istruzione ed una passione per fumetti, manga, videogiochi e tutto quello che rientra nella definizione di cultura “Nerd”.

Questa sindrome si è sviluppata grazie ad un potente alleato, senza il quale sarebbe rimasta un semplice disturbo evitante o una fobia sociale. Questo alleato sono i media. Dal 2000 in poi è diventato incredibilmente facile isolarsi dal mondo e al tempo stesso crearsene uno per sé.

Le informazioni possono essere filtrate e selezionate tramite il computer e la comunità di appartenenza può essere creata su misura grazie ai social media. Tutti facilitatori che usati in modo “opportunamente sbagliato”, possono portare un adolescente , già problematico di per sé a chiudersi in maniera più o meno permanente in sé stesso e nel mondo che si è creato intorno a lui.

Prima di internet tutto ciò era molto più difficile. La realtà era una sola, o si decideva di affrontarla ,nel bene e nel male o ci si ritirava completamente. Con l’avvento di Internet la scelta del ritiro sociale è diventata molto più morbida ed appetibile.

I media vengono usati per soddisfare tutti i bisogni sociali; si ottengono notizie dal mondo esterno, vengono usati per evadere la realtà, per passare il tempo evitando l’ansiogeno confronto diretto con una persona in carne ed ossa. Tutto ciò accompagnato spesso da depressione e comportamenti ossessivo-compulsivi, che per amor del vero sono abbastanza naturali per chiunque decida di vivere una vita in solitudine.

I teorici di questo disturbo hanno individuato nella società giapponese dei fattori scatenanti ovvero l’eccessiva presenza di regole ed un alto livello di competizione che porterebbero ad una percentuale consistente di giovani uomini a “gettare la spugna”. Questo rende gli Hikikomori Giapponesi diversi da quelli Italiani e più in generale Europei.

Si pensa in particolare, che gli Hikikomori del nostro meridione si rifugino nelle loro camerette più per la consapevolezza dell’assenza di futuro nelle loro terre che per un rigido sistema di regole e per un alto livello di competizione. Fra l’altro gli Hikikomori sono sensibilmente più diffusi al Sud che al Nord Italia.

A prescindere dalla motivazione ciò che non cambia è la reazione ovvero un fermo rifiuto della realtà e a partecipare ad essa; al suo posto l’adolescente si crea una realtà tutta sua, più soddisfacente e gratificante.

È importante non confondere la dipendenza da internet con la sindrome di Hikikomori. La prima è necessariamente parte della seconda ma essere un Hikikomori è un vero e proprio stile di vita, perlopiù disfunzionale.

È da precisare che un Hikikomori potrebbe anche sviluppare uno stile di vita che si potrebbe definire “adattivo e funzionale”. Sebbene sia molto raro è possibile che un Hikikomori riesca a ottenere un indipendenza economica grazie ad un lavoro online che sfrutti le sue notevoli competenze informatiche ed è altresì possibile che si distacchi dal nucleo familiare di origine. È possibile che dedichi parte del suo tempo a compiere attività fisica all’interno della propria abitazione e che possa perfino incontrare qualcuno della sua stessa comunità online nella vita reale.

Inoltre questo netto rifiuto della società “reale” potrebbe anche essere in parte condivisibile, del resto la nostra non è una bella società e diventa ogni anno più ansiogena e patologizzante.

Purtroppo per loro la stragrande maggioranza di essi vive lo stile di vita da Hikikomori come una vera e propria sindrome disabilitante. Chissà magari in futuro le cose cambieranno ma allo stato attuale essere un Hikikomori è un vero e proprio dramma.

L’Hikikomori dunque vive la sua vita online; tendenzialmente fa una vita sedentaria, quando non è al computer legge fumetti, non ha un vero e proprio ritmo sonno-veglia (spesso impedisce alla luce solare di entrare nella sua cameretta), ed ha contatti con i genitori solo per lo stretto necessario. Tendenzialmente ha un rapporto parassitario con essi. Questi di solito sono del tutto sopraffatti dalla reclusione del figlio ed alternano momenti autoritari e controproducenti a lunghi periodi di resa.

Purtroppo essendo un fenomeno nuovo, ci sono pochi studi riguardo l’efficacia del trattamento psicoterapeutico e non esistono tecniche specifiche di trattamento. L’obiettivo terapeutico di solito è far fronte all’ansia sociale, alla paura del fallimento e al rapporto parassitario che l’Hikikomori ha con i genitori.

Molti Hikikomori hanno tratto sollievo da una società bloccata, proprio come lo sono loro. Cosa gli succederà  quando tutto riprenderà normalmente e le persone torneranno a vivere normalmente? Potrebbero realizzare che la loro ‘quarantena’ non è un periodo momentaneo causato da fattori esterni, come per le altre persone, ma una prigionia che può durare potenzialmente tutta la vita.